Monday, July 04, 2005

Lieder

b) I lieder

Il Lied è un genere, che pur avendo conosciuto il suo periodo d’oro nell’Ottocento, possiede lontane radici storiche proprio nella musica tedesca. Infatti, le sue origini risalgono al canto popolare (Volkslied), così come si era tramandato nei secoli, partendo dalla primigenia forma strofica.
Con la fine del Settecento questo genere inizia lentamente ad emanciparsi da quel peculiare tratto che ne limitava le sue indubbie potenzialità espressive.
Haydn e Mozart, per esempio, componevano lieder, considerandoli lavori di secondo piano rispetto all’opera, alla sinfonia e alla musica sacra; ma già con Beethoven la situazione muta sensibilmente: An die ferme Geliebte (All’Amata lontana, 1816) è uno dei primi cicli liederistici della storia musicale. Formata da sei pezzi, ricavati organicamente da un medesimo soggetto, questa raccolta rappresenta una sorta di canovaccio, a cui attingeranno gli incomparabili affreschi liederistici di Franz Schubert, autentico creatore del cosiddetto “Lied romantico”.
Lied che con lui passerà da genere marginale a protagonista assoluto della storia musicale mitteleuropea. Basti pensare anche solo a due capolavori come La Bella Molinara del 1823 e il Winterreise (Viaggio d’inverno) del 1827.
Lo stile di Schubert, va detto, riesce ad essere sempre equilibrato nel delicato rapporto tra poesia ed invenzione vocale; quest’ultima illumina intrinsecamente i significati più reconditi del discorso poetico, mentre il pianoforte si limita ad un accompagnamento efficace e allo stesso tempo misurato.
Schumann s’inserisce, a meraviglia, nel solco tracciato dal suo autorevole predecessore e ne continua sostanzialmente il discorso, seppure rapportandolo al proprio personale mondo poetico.
Il suo contributo non è però inferiore a quello dell’autore viennese.
Peraltro, laddove Schubert si trova in perfetta sintonia con la poesia apollinea di un Goethe o di uno Schiller, Schumann preferisce volgere lo sguardo a poeti romantici come Eichendorff, Heine, Chamisso, Lenau ed al loro sottile, autentico pathos.
Quando gli argomenti sono, di volta in volta, fantasiosi, colorati, notturni o addirittura cupi, anche il trattamento musicale si fa conseguentemente più articolato e complesso.
Dalla solare (almeno all’apparenza) semplicità schubertiana, si passa con Schumann ad una scrittura che sa mutare all’improvviso, travolgendo tranquillamente l’equilibrio testuale originario.
Il pianoforte, d’altro canto, non si limita ad un sostegno armonico ed espressivo, ma si erge talora a protagonista predominante del discorso musicale.
Pertanto, la melodia vocale e la poesia non costituiscono più baricentro essenziale del lied, ma unitamente al pianoforte tormentato del compositore tedesco, ne trasfigurano in senso autobiografico il messaggio artistico.
In fondo, Schumann passa a questo genere solo quando sente del tutto esaurita la vena pianistica. Tentativi giovanili c’erano già stati una decina d’anni prima, ma nulla di più. E’ quindi a partire dal 1840 che vi si dedica con sorprendente ed esclusiva generosità: sono ben 140 i lieder che nascono in questo fecondissimo anno. Quasi un’esplosione di creatività. Poi di nuovo il silenzio. Bisognerà attendere il 1847 per assistere ad un suo ritorno a questo genere.
Dal punto di vista strettamente formale i lieder schumanniani si dividono in strofici e liberi, secondo strutture che sovente derivano da necessità espressive insite nel testo poetico.
Liederkreis (ciclo di canzoni) op. 24, su poesie di Heine, si compone di otto brani. Heinrich Heine, poeticamente attivo dal 1822, era uno dei letterati più ammirati da Schumann. Si erano tra l’altro conosciuti a Monaco. Oltre a questo ciclo, altri lieder inseriti nelle opere 25, 45, 49, 53 (e in particolare lo stupendo Dichterliebe op.48) sono basati su testi del poeta tedesco.
Il musicista trova nel vibrante e doloroso (e talora ironico) romanticismo di Heine una fonte straordinaria d’ispirazione. In Liederkreis si racconta la storia di un amore non corrisposto, il dolore e la disperazione dell’Io narrante, la conclusiva fuga e infine la ritrovata pace interiore. Come nel Winterreise schubertiano, il paesaggio che ci appare di volta in volta attraverso le poesie musicate da Schumann, diventa proiezione del proprio mondo interiore: “Nei miei sensi scava la follia / malato e ferito è il cuore / e il corpo inerte ed esausto / trascino al bordone che porto, / finchè porrò il mio capo stanco / lontano, in un freddo sepolcro”.
Come per i cicli pianistici, l’unità della raccolta non è contenuta in rimandi tematici, bensì nella medesima atmosfera spirituale e nel percorso psicologico che la musica propone.
Myrthen op. 25 è composto da ben 26 poesie di autori differenti (Goethe, Rückert, Heine, Byron e altri); ed è perciò, più che un ciclo, un’antologia assai variegata e racchiusa tra una dedica (Widmung) ed un epilogo (Zum Schluss); nasce come un regalo per Clara al momento del coronamento della loro lunga e travagliata storia d’amore. D’altra parte, discontinui risultano complessivamente gli esiti - ora notevoli, ora scontati - dell’opera.
I cinque Lieder und Gesange op. 27 con testi poetici di vari autori ci trasportano poi in un’atmosfera differente, più estroversa e brillante. Sag an, o lieber vogel mein (Dimmi, mio piccolo uccello) di Hebbel illustra un tenero dialogo con un uccello, che anticipa l’incantato clima sonoro delle scene della foresta; dopo tre stanze di versi organizzate attraverso continue domande e risposte, con tutte le dolci esitazioni del caso, l’uccello vola via, mentre il pianoforte riesce quasi a comunicarci la sensazione di uno slancio verso l’alto.
Qui prevale ancora la nostalgia (Sehnsucht) per ciò che è lontano e sconosciuto.
Frizzante e al contempo amoroso il bel lied di Burns, Dem rotem Roslein Gleicht mein Lieb (Il mio amore è come una piccola rosa rossa): corre verso la conclusione attraverso ritmi caratteristici e vivaci. Poi sopraggiunge il terzo brano, che rappresenta una pausa di riflessione, un momento di intima tristezza: si tratta di Was Soll Ich Sagen ? (Che dire ?) di Chamisso.
Nell’opera 27, va detto come il ruolo del pianoforte si mantenga più convenzionale, limitandosi ad un semplice e dimesso accompagnamento della voce.
Quando, d’altra parte, Schumann impiega testi letterari suggestivi e complessi o anche mossi solo da romantiche passioni, ne scaturiscono composizioni più innovative ed interessanti; mentre nel caso opposto egli si limita ad una scrittura più tradizionale. Ma anche in quest’ultimo caso i risultati sono spesso eccellenti.
Le stesse osservazioni valgono per i Drei Gedichte (Tre poemi) op. 30, su testi di Emanuel Geibel, autentici racconti tutti giocati nel mondo esteriore, dove abbondano colori sgargianti, folgoranti immagini ed effetti assai plastici.
Der Knabe mit dem Wunderhorn (Il Ragazzo con il Corno Magico) ci parla di cavalcate e danze che trovano puntuale riscontro nelle figurazioni onomatopeiche del pianoforte schumanniano.
I Drei Gesänge op. 31, su poesie sempre di Chamisso, hanno un carattere tutto particolare: non brevi schizzi, bensì veri e propri racconti, dove la voce del narratore e quella del personaggio si alternano. La parte musicale è condotta con espressiva sobrietà: la linea vocale è chiara e mai appariscente.
Il colorismo dell’opera 30 è tralasciato insieme alla sua brillante esteriorità, mentre anche il pianoforte si mantiene quasi) timidamente in secondo piano.
Schumann sembra ora più affascinato dai contenuti della narrazione che vivifica ed impreziosisce costantemente, dando ad ogni stanza di versi il giusto tono in relazione alle situazioni e alle figure prese in considerazione e tessendo una serie di abili rimandi tematici fra i tre poemi.
I Sechs Gedichte op. 36 prendono invece a soggetto alcune liriche dai Poemi di un pittore di Reinick. Non un racconto, bensì un affresco di pace e serenità, che ben dipinge la tranquilla vita domestica sulle rive del Reno.
E’già uno Schumann imborghesito, che dimentica evidentemente le tensioni spasmodiche di altri suoi lavori trascinanti. Anzi, a dire il vero, in questo ciclo sembra addirittura rinnegarle in modo esplicito. La realizzazione musicale è qui affidata al Maestro Raro, composta ed impreziosita da melodie talora abbastanza prevedibili.
Il lied più bello ed originale dell’intera raccolta è forse Dichters Genesung (La convalescenza del poeta). L’artista qui è rapito da una visione magica, in una natura popolata da elfi e folletti; il commento pianistico finalmente ritorna ad essere creativo e sciolto dal testo, avvolgendolo in una cascata di note evocanti il soffio dei venti e l’improvviso irrompere di fasci di luce; insomma, torna lo stile pianistico dello Schumann che già conosciamo.
La regina di questo mondo fantastico si rivolge al poeta dicendogli: “Rinuncia al tuo attaccamento al mondo / rinuncia alla vanità di questo mondo! / Non c’è vera vita se non al chiarore della luna! / Solo il sogno assicura un’esistenza eterna”.
Il mondo della notte e delle più sfrenate fantasie risucchia parzialmente dentro di sé il musicista tedesco, che nella vita reale resta però legato alla sua solida tranquillità borghese.
Anche il pianoforte (in questa soluzione sorprendente) ritorna ad una scrittura più accademica. Composto nel 1840 questo lied anticipa - se vogliamo - una fase neoclassica, dopo l’abbandono dell’inquieto periodo romantico, rappresentato dai lavori pianistici.
Con le Zwölf Gedichte aus Liebesfrühling op. 37 (alcuni dei quali composti da Clara) Schumann affronta di nuovo Rückert e torna, quindi, ad un’ispirazione più libera.
Qui l’intonazione risulta generalmente serena, come dimostra l’abbagliante Ich hab in mich Gesogen (Ho guardato in me stesso), ove l’animo del poeta vibra all’unisono con la primavera.
Non mancano del resto pagine drammatiche come Flügel! Flügel! Um zu fliegen (Ali, ali per volare via): un’invocazione nostalgica e irrequieta, che manifesta il desiderio di superare la realtà esistente ed immergersi nella notte, dirigendosi verso la volta stellata; ma poi la luce del sole dissolve inesorabilmente quei sogni.
Un bel poema dunque, che rispecchia il romanticismo del musicista e che viene realizzato con una scrittura concitata e turbolenta, in cui il pianoforte ricopre un ruolo assai importante.
Incantevole poi è Rose, meer und sonne (Rosa, mare e sole), dove il compositore adotta la struttura familiare del Rondò; dolce e ripiegato, questo lied canta la consueta metafisica panteista, il fondersi d’ogni cosa nella totalità cosmica, lo svanire necessario di ogni forma individuata e accettata con serenità.
L’opera 37 ci fa quindi ritrovare uno Schumann più ispirato, quale probabilmente non avevamo più incontrato dopo i Myrten op. 25.
I Liederkreis op. 39 su poesie di Eichendorff rappresentano uno dei capolavori assoluti della storia del Lied.
In queste liriche il musicista riconosce il suo stesso sentimento per una natura ineffabile e misteriosa che sempre ci avvolge e stupisce. L’ispirazione del poeta sa essere calma ed al contempo visionaria, serena ma all’occorrenza anche malinconica.
I dodici lieder che compongono la raccolta si aprono dinanzi a noi come un orizzonte infinito, notturno e silenzioso, magicamente sospeso. Si offrono all’ascolto estremamente variegati nei contenuti e nella realizzazione musicale, eppure chiaramente legati tra loro da una visione poetica omogenea e crepuscolare.
Il primo lied, In der fremde (In terra straniera), ci descrive la situazione vagabonda dell’Io narrante attraverso una melodia vocale che si muove in un intervallo abbastanza ristretto, mentre il pianoforte accompagna il tutto con inquieti arpeggi.
Segue Intermezzo, canzone d’amore, dove la fusione tra canto e pianoforte è praticamente perfetta. Waldesgesprach (Dialogo silvestre) è quindi un pezzo ad effetto, a tratti macabro, in quanto ci narra l’incontro tra un cavaliere ed una strega in un bosco, mentre sta sopraggiungendo la notte; il cavaliere rimarrà per sempre prigioniero in quella foresta. Cavalcate, stregonerie, incantesimi trovano qui il terreno più fertile e congeniale.
Dopo la luminosa visione del Liederkreis, Schumann muta completamente registro.
I Funf Lieder op. 40, infatti, si snodano su argomenti tragici e macabri; i testi del poeta danese Hans Christian Andersen, tradotti da Chamisso (famoso per le sue fiabe) sono inquietanti ed amari; il compositore li illustra musicalmente riuscendo ad ottenere effetti sempre di speciale originalità, coerentemente colmi di dissonanze e durezze armoniche.
Ampio spazio è anche dato all’introverso melodizzare del pianoforte in Muttertraum (Sogno di una madre), mentre la voce declama soavemente l’amore di una madre che sta cullando il figlio. Di colpo lo scenario cambia e nell’ultima strofa un’allucinata visione di morte si contrappone all’iniziale dolcezza: i corvi ricordano che quel bambino morirà. L’atmosfera improvvisamente muta. E da sognante, tenera si fa tetra ed oscura.
Der Soldat (il soldato) ci descrive poi l’esecuzione capitale di un uomo, osservata dolorosamente dalla prospettiva di chi lo amava; si tratta di un lied davvero straziante, dove i rulli dei tamburi, le fanfare e i ritmi di marcia risuonano in modo sinistramente espressionista, quasi preludendo ai futuri lavori di Mahler e Schönberg.
Frauenliebe und-leben (Vita e amore di donna) op. 42 è il terzo ciclo compatto ed organico di Schumann, dopo i due Liederkreis: siamo di fronte ad un nuovo straordinario capolavoro, degno di affiancare le raccolte schubertiane.
Esso si dipana in otto liriche di Chamisso, nelle quali viene raccontato l’amore di una donna, poi coronato dal matrimonio e dalla maternità ed improvvisamente troncato dalla morte del suo uomo. Dalle incertezze dell’esordio (la donna non sa di essere ricambiata nel suo amore) alla felicità dell’unione coniugale, al mesto finale, si compie un percorso necessario, quasi inesorabile, dove luci e ombre si alternano; ogni felicità è transitoria e Schumann non lo ignora di certo.
Dopo aver cantato la gioia della protagonista nei primi sette lieder, di colpo e senza preavviso, la mostra distrutta dal dolore; dopo aver intonato melodie serene ed euforiche, ora la musica s’irrigidisce in un assorto declamato, si limita a poche ed essenziali note.
Il pianoforte - nella sua lunga cadenza in appendice al ciclo - riprende l’esitante tema che aveva inaugurato la raccolta. Si chiude così il cerchio, la felice esperienza si esaurisce, lasciando ritornare, come in un risveglio dopo il sogno, l’incertezza dell’incipit.
La vita materiale ci può offrire una felicità solo temporanea e comunque sempre limitata ed insidiata da un avverso destino. Ed è proprio questo senso di precarietà che sta alla base di quest’ultimo ciclo. Una riflessione sulla morte dunque. Una presa di coscienza improvvisa che oscura il radioso incedere che sembrava comunicare anche ad un ascolto solo superficiale.
Nelle Romanzen und Balladen op. 45 Schumann torna ad ispirarsi alla poesia fantastica di Eichendorff; in Der Schatzgräber (Il cercatore di tesori) ci racconta di come un cercatore scavi forsennatamente per raggiungere le agognate pepite d’oro in fondo ad un pozzo e venga poi travolto da una valanga, mentre gli angeli cantano inni gioiosi e contemplativi nel silenzio della notte.
Visione inquietante, che confronta l’assurda rincorsa ai beni materiali della follia umana e la calma metafisica dell’assoluto, non a caso immerso nella pace notturna.
Il pianoforte qui esprime con arte sopraffina tutti gli elementi in gioco: la frenetica e avida corsa del cercatore verso il nulla, l’ascetica pace delle sfere celesti.
Più convenzionale Fruhlingfahrt (Viaggio in primavera), dove si paragonano due destini: quello di chi ha scelto una sana vita domestica e quello di chi è stato inghiottito dalle melodiose voci che le sirene innalzano dagli abissi. Qui siamo di fronte alle due anime del compositore: Maestro Raro e Florestano, realismo e romanticismo, che con ardore si confrontano in questo lied.
Dichterliebe (Amor di poeta) op. 48 è il quarto ciclo schumanniano, forse il più ambizioso e riuscito. Le sedici liriche di Heine, qui raccolte, ci narrano una delusione amorosa con toni dolorosi spesso venati da un’ironia amara e sconsolata; e sempre Heine aveva ispirato il primo ciclo del musicista, Liederkreis op. 24, basato su un medesimo argomento e simili atmosfere. Ora l’affresco si fa più ampio e drammatico, le risonanze interiori più varie, l’enfasi più accorata. Ciò che si perde in semplicità viene guadagnato sotto l’aspetto della ricchezza timbrica e dell’invenzione vocale, oltre che nell’inedito rapporto fra voce e strumento.
Spesso la voce si limita ad un avveniristico declamato, cui il pianoforte fa da necessario complemento, esponendo figure musicali di rara essenzialità. Gli avvolgenti disegni del pianoforte, i ritmi trascinanti, gli incisi melodici costituiscono un tutt’uno con le linee vocali.
In Dichterliebe tutto ciò è esasperato, al punto che potremmo parlare di un ciclo di brevi miniature pianistiche con inserzioni vocali; ogni Lied, infatti, si chiude con corpose cadenze pianistiche, che non solo citano il tema fondamentale, ma lo elaborano e lo trasformano. La voce è dunque quasi limitata ad un ruolo marginale.
Dopo il 1840, Schumann abbandona questo genere come aveva fatto con il pianoforte; anche in questo ambito sente evidentemente di aver esaurito l’ispirazione primigenia e viene attratto da ancora più ambiziosi progetti.
Tornerà al Lied nel 1847 e poi in maniera consistente due anni dopo. Resignation (Rassegnazione) uno dei Drei Gesange op.83 d’inconfondibile sapore wagneriano. Il tema è ancora quello della disillusione amorosa, ma la realizzazione musicale è qui originalissima con l’alternanza di recitativi sostenuti da un ricco cromatismo del pianoforte.
L’ultimo Schumann si dedica con maggiore frequenza alla ballata. In essa si narrano eventi straordinari, ora fiabeschi ora macabri, che seguono l’imperante gusto romantico.
Un esempio illuminante di questa novità creativa è Der Handschuh (il fazzoletto) op. 87 su testo di Schiller: un nobile osserva le belve che si dilaniano nell’arena; una dama lancia un fazzoletto sfidando un cavaliere a recuperarlo tra le fiere. Dunque si tratta di un soggetto colorito che il musicista rende con notevole ricchezza inventiva sia dal punto di vista tematico che timbrico.
Meno interessanti i Sechs Gesänge op. 89 su poesie di von der Neun, che sembrano una pedissequa ripetizione di temi già affrontati nei cicli del 1840.
Lenau è un poeta austriaco il cui tragico destino anticipa in modo davvero inquietante quello del compositore di Zwickau: verso i quarant’anni, infatti, si manifestano in lui i segni inconfondibili della pazzia e in pochi anni morirà chiuso in manicomio.
La sua è una poesia malinconica, angosciata, animata da un senso pessimistico della natura, nel quale lo scrittore proietta i propri sentimenti altrettanto disperati. Schumann non poteva che condividere un simile modo di sentire, come già aveva mostrato in altri cicli liederistici.
Ispirato dalla poesia di Lenau, egli compone allora un nuovo capolavoro che nella struttura generale rimanda ai fortunati Liederkreis e Dichterliebe del 1840; si tratta dei Sechs Gedichte und Requiem op. 90. Un nuovo amore impossibile, una natura spettatrice che esprime il dolore del protagonista; un pianoforte che canta sommesso, completando le melodie vocali ed evocando immagini simboliche; infine la pace risolutrice celebrata nel sereno Requiem, un antico testo cattolico aggiunto dal musicista alle poesie di Lenau.
Seguono a questo capolavoro pagine certamente meno interessanti. Dai Lieder und Gesänge tratti dagli “Anni di apprendistato di Wilhelm Meister” di Goethe, dove subito balza agli occhi l’enorme ammirazione nutrita dal compositore nei confronti del poeta ai Vier Husarenlied (Quattro canzoni di Ussari di Lenau) op. 117 (1851) impostati su un registro praticamente antitetico rispetto all’altro malinconico ciclo dei Sechs Gedichte und Requiem op. 90.
Si tratta di canti esuberanti ed aggressivi che celebrano la vita attiva, i ritmi marziali, il vino ed il desiderio di combattere; ma a sorpresa, il quarto lied abbandona il clima guerriero per constatare con stupore attonito un campo di battaglia coperto di sangue. Il mito lascia il posto alla realtà tragica, sconfessando la cinica allegria dei canti precedenti.
Spanische Liebeslieder op. 138 (1849) è invece una raccolta gradevole che ci mostra uno Schumann sensibile alla canzone popolare spagnola (tradotta peraltro da Geibel in tedesco). Accantonate le malinconie ed il travaglio interiore delle sue opere più alte, qui emerge un canto fresco ed elegante, liberato dalle angosce e dalle malinconie.
Con i Vier Gesänge op. 142 (1852) siamo all’ultimo capitolo dello Schumann liederista; le poesie di Kerner e Heine propongono i consueti temi romantici, che Schumann proietta in un’atmosfera sonora di rara suggestione: è davvero l’estremo capolavoro liederistico del musicista tedesco, che conferma una volta di più la sua poetica romantica, l’anelito alla trascendenza, la visione dell’esistenza come dolore, sperimentato, quest’ultimo, in prima persona nei travagli della sua vita.

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