Monday, July 04, 2005

Le sinfonie

c) Le sinfonie

Con i lieder anche le composizioni sinfoniche segnarono la febbrile attività creativa di Schumann dopo l’intenso decennio dedicato esclusivamente al pianoforte.
Nel 1839, all’età di 29 anni, egli scriveva una lettera a Clara, nella quale esprimeva l’immensa gioia per il ritrovamento a Vienna di una Sinfonia di Schubert (la celebre Grande): “La mia felicità è al colmo. Solo due desideri posso ancora avere, sposarti e poter comporre anch’io una sinfonia del genere”.
Le due aspirazioni vennero appagate l’anno seguente (1840), quando - lasciata ormai alle spalle l’intensa stagione pianistica - egli si tuffava con rinnovata energia nella realizzazione del suo primo lavoro sinfonico.
La Sinfonia n.1 in si bemolle maggiore, composta fra il gennaio ed il febbraio del 1841, incarnava quello stato d’animo nella rapidità della concezione, nella natura dei temi qui contenuti, nell’orchestrazione trasparente e talora addirittura smagliante.
L’opera era nota come Frühlingsinfonie (Primavera) sulla base di varie indicazioni autorevoli, ove non bastasse già la sola sollecitazione fantastica.
Nell’ottobre del 1842 Schumann inviava un suo ritratto al poeta Böttger con un motto musicale (quello di trombe e corni che apre per l’appunto il lavoro), accompagnato dalle seguenti parole: “Inizio di una sinfonia, ispirata da una poesia di Adolph Böttger. Al poeta in ricordo di Robert Schumann”.
Lo stesso poeta indicò poi la strofa che si concludeva con i versi “volgi, volgi la tua corsa, nella valle la primavera fiammeggia”; e qualche anno dopo, sempre Schumann diceva al direttore Taubert di Berlino: “Possiate ispirare alla vostra orchestra una nostalgia della primavera”.
Inoltre, la Primavera del compositore tedesco coincideva anche con l’unione definitiva con Clara. Il carattere festoso della sua prima opera sinfonica ne rappresentava l’emblematica testimonianza.
La Prima Sinfonia venne eseguita per la prima volta a Lipsia sotto la direzione dell’amico Mendelssohn e l’autore ne fu entusiasta.
Una sinfonia, va detto, abbozzata in soli quattro giorni e portata a termine in meno di un mese dopo un lavoro davvero instancabile.
Come la Grande di Schubert, alla quale evidentemente s’ispira, anche la Primavera inizia con un breve assolo dei corni, cui s’aggiungono le trombe: una sorta di singolare appello al quale risponde pomposamente l’intera orchestra, che poi a sua volta introduce, dopo l’andante un poco maestoso dell’inizio, l’Allegro molto vivace, il cui primo tema si rifà in tempo mosso al motto dell’incipit.
La seconda idea possiede un carattere più raccolto, mentre tutto lo sviluppo si snoda con energico slancio ritmico. Il larghetto successivo è brano d’incantevole bellezza melodica, la cui evidente natura liederistica si dispiega con soave cantabilità dagli archi.
Segue lo Scherzo che si rifà all’ultimo inciso melodico esposto dai tromboni alla fine del secondo movimento. Si tratta di una pagina piena di fantastica scorrevolezza, lontana dal drammatico vigore beethoveniano (splendidi, tra l’altro, i due trii interni), ma di aggraziata varietà. La sinfonia si chiude, dopo quattro introduttive battute solenni, con un Allegro animato e grazioso.
Un tema dalle terse linee mendelssohniane, che ricorda Il Sogno di una notte di mezz’estate; il gioioso finale, con una travolgente marcia trionfale, chiude degnamente il lavoro. La Primavera diretta a Lipsia proprio da Mendelssohn riportava un notevole successo. Il primo autentico, limpido successo per Schumann.
La Seconda Sinfonia in do maggiore op. 61 veniva composta dal tedesco durante il 1846, dopo che l’intero lavoro era già stato abbozzato alla fine dell’anno precedente e alcuni spunti (come il motivo dell’introduzione) si erano già intravisti cinque anni prima, durante il progetto di una piccola sinfonia in do minore: si arrivava così a quel 1841 noto come l’anno “sinfonico” della carriera di Schumann.
Raggiunta la trentina, il compositore voleva imporsi al mondo musicale, ne aveva bisogno soprattutto di fronte al padre di Clara Wieck, poco disposto a concedere la figlia ad un giovane pur di talento, che aveva al suo attivo “solo” pezzi per pianoforte. Schumann si impegna nella lunga gestazione della sinfonia fino al novembre del 1846.
Una gestazione turbata dalle prime tangibili manifestazioni della malattia, con tremiti, insonnie, allucinazioni uditive e che richiedeva alcuni periodi di totale riposo.
La prima esecuzione aveva luogo il 5 novembre al Gewandhaus di Lipsia sotto la direzione dell’amico Felix Mendelssohn. Questa volta però l’accoglienza del lavoro non era buona, con alcune palpabili tensioni tra direttore e compositore.
La replica del successivo 16 novembre riportava, d’altro canto, esiti più incoraggianti, dopo che Schumann aveva rivisto la partitura, introducendo alcune varianti nell’orchestrazione.
Dopo l’incipit a carattere lento e pensoso, il primo movimento (sostenuto assai) è tutto uno scalpitare e rincorrersi di ritmi marziali; andamento frenetico che viene riproposto nello scherzo (a sua volta intervallato da due trii), pagina di fremente spirito classico. L’opera raggiunge il suo punto culminante nel bellissimo adagio espressivo, dove torna la fresca vena melodica dei pezzi pianistici giovanili coniugata peraltro con una maggiore consapevolezza e maturità espressiva.
Si riflette in questo struggente movimento lento la dolorosa condizione del suo autore, che nell’ampio e disteso fraseggio degli archi ci fa volgere lo sguardo verso il futuro Brahms sinfonico. Il finale (allegro molto vivace) riconduce l’ascoltatore alla verve ritmica del primo movimento, richiamato alla mente da evidenti affinità tematiche.
A Dusseldorf sul Reno, dove si era stabilito nel 1850 per ricoprire l’incarico di nuovo direttore dei concerti di quella ridente città, Schumann ritrovava finalmente momenti di rara serenità a contatto con un ambiente diametralmente opposto a quello di Lipsia e Dresda e soprattutto…con persone amanti del quieto vivere.
La nuova sinfonia alla quale stava lavorando la dedica proprio al fiume Reno, nume tutelare e benefico della pace riconquistata nell’operosa città fluviale. Si tratta di un lavoro intriso di giubilo e di impennate fantasiose e trascinanti. Nasceva così la Terza Sinfonia in mi bemolle, nota appunto con l’emblematico appellativo di Renana.
La prima esecuzione dell’opera - non ancora stampata - avveniva il 6 febbraio 1851, suscitando accoglienze addirittura trionfali, ripetute poco tempo dopo a Colonia; grande impressione la sinfonia suscitava a Rotterdam il 1° dicembre 1853, durante la tournée olandese intrapresa dal compositore con la moglie.
Si tratta senza dubbio dell’opera più compatta ed organicamente unitaria del compositore tedesco.
La Terza era abbozzata e strumentata in un solo mese d’intenso lavoro tra il 2 novembre ed il 9 dicembre del 1850. Il quarto movimento recava in origine la didascalia “Im Charakter der Belgsitung einer feierlichen Ceremonie”(Nel carattere di accompagnamento a una cerimonia solenne) e con precisione ancora maggiore Schumann dichiarava di essere stato influenzato dal rito con cui il vescovo di Colonia von Geissel venne innalzato alla porpora cardinalizia nel Duomo (quello di Colonia per l’appunto) sacro alla storia tedesca e all’arte gotica.
Il primo movimento del capolavoro schumanniano con il suo avvio impetuoso, che culmina al centro della pagina nel trionfale unisono dei quattro corni, innalza un autentico monumento al fiume Reno, come si trattasse di un padre o di una religione dagli inconfondibili attributi mitici.
Tutto il primo movimento (Vivace) – mancante peraltro d’introduzione lenta – si basa quasi per intero su un tema d’espansiva festosità e vuole riflettere proprio l’animo sereno e laborioso della gente del luogo. D’altro canto, lo Scherzo successivo espone invece un semplice tema popolare in forma di ländler di graziosa vena melodica. Dopo lo ieratico, conciso Maestoso (un evidente omaggio all’amatissimo Johann Sebastian Bach) scritto - come detto - sotto l’influenza della succitata cerimonia nel Duomo di Colonia, la sinfonia si conclude con la vivace e colorita rievocazione di un carnevale dal sapore tutto popolaresco.
La Sinfonia in re minore appartiene al cosiddetto anno delle sinfonie: 1841, dopo che il compositore tedesco era riuscito a toccare vertici espressivi quasi impensabili con il pianoforte e con le sue raccolte liederistiche (1840).
Nell’agosto del 1841 Schumann iniziava a scrivere la prima versione della sinfonia, incoraggiato dal successo che la Prima aveva riscosso cinque mesi prima sotto la direzione di Mendelssohn e nella stupenda sala del Gewandhaus di Lipsia; la nuova opera veniva presentata insieme all’Ouverture, Scherzo e Finale op. 52 con esiti, a dire il vero, poco esaltanti; c’è da aggiungere come il pubblico di quella sera fosse probabilmente ben più attratto dall’esibizione di Franz Liszt e Clara Schumann nel sensazionale Hexameron-Duo: una serie di variazioni commissionate dal principe Belgioioso a sei noti virtuosi (tra cui lo stesso Liszt, Thalberg e Chopin).
Lo scarso successo ottenuto indusse comunque Schumann a riprendere tra le mani il lavoro dieci anni dopo, quando erano già state pubblicate le sue prime tre sinfonie; l’opera fu così stampata a Lipsia solo nel 1853, divenendo in pratica la sua Quarta Sinfonia, contrassegnata dall’opus n.120.
La partitura spicca fra le altre sinfonie per il particolare taglio formale e l’indubbia qualità poetica. Sul suo frontespizio, Schumann aveva anche scritto che si trattava di un lavoro in un solo movimento; al tempo della revisione intendeva servirsi del titolo di Fantasia Sinfonica, indubbiamente più adatto ad un’opera caratterizzata da evidenti legami tematici tra un tempo e l’altro, senza alcuna soluzione di continuità. Del resto, a quell’epoca, egli guardava con molto interesse ai poemi sinfonici di Liszt.
Torna - possiamo dire - lo Schumann del Carnaval con le impercettibili miniature collegate tra loro con indubbia abilità. L’ombra ispiratrice dell’amico Mendelssohn, morto alcuni anni prima, risulta ben presente in alcuni inconfondibili tratti melodici, ma è soprattutto lo stile beethoveniano, almeno nei tratti più energici ed appassionati, ad emergere non poco in questo lavoro.
L’introduzione lenta sfocia poi in un allegro fremente, pervaso d’intimo slancio romantico, mentre la romanza in la minore risulta uno dei momenti cantabili più sublimi che egli abbia creato.
Lo scherzo seguente è energico e vitalissimo (ecco Beethoven!), mentre il trio si lascia gustare per la scorrevole linearità. Il vivace conclusivo richiama solo per un attimo il motivo iniziale dell’allegro, prima di lasciarsi poi andare vorticosamente nella bellissima stretta finale.
Le quattro sinfonie di Schumann sono opere di indiscutibile valore, talora segnate da una certa discontinuità (Seconda e Terza), talora di compiuta bellezza (Prima e Quarta). Ed è curioso notare come anche in questo genere il compositore tedesco abbia creato le cose migliori negli anni a ridosso del decennio 1830 -’40, mentre allontanandosi da quel felice periodo i risultati furono talora incerti ed impacciati.
E’ comunque evidente come egli non abbia sicuramente detto una parola decisiva nell’ambito sinfonico; ben altro è stato il suo contributo alla storia della letteratura pianistica e liederistica.
Saranno Berlioz, Liszt, Wagner, Richard Strauss, Mahler e Schönberg, in logica successione, a rivisitare - se non addirittura a rivoluzionare - il discorso sinfonico e strumentale nelle sue intrinseche strutture formali, come nella concezione timbrica.
Schumann ha certamente operato all’interno della tradizione, sconfinando di rado e “quasi” timidamente dal solco già tracciato da chi lo precedeva. La sua forza creativa innovatrice si è fermata ai capolavori pianistici e a quelli liederistici, mentre il suo prudente, talvolta accademico, neoclassicismo gli ha impedito di esplorare fino in fondo, anche nella sinfonia, sentieri ancora inesplorati.

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